L’ultimo rapporto Open Doors, rilanciato anche dai media vaticani, parla di cifre impressionanti riguardanti la persecuzione dei cristiani. Il fatto delle persecuzioni non è una novità, anche se il numero di persone che subiscono abusi di ogni tipo per la propria fede, fino a pagare addirittura con la vita, lascia a bocca aperta. Si parla di circa 380 milioni di cristiani vittime di alti livelli di persecuzione: in media si tratta di un cristiano su sette nel mondo, uno su cinque in Africa e due su cinque in Asia.
Al primo posto, come consuetudine, c’è la Corea del Nord, dove essere cristiani o possedere una Bibbia è considerato un reato punibile con la morte o con la prigionia in campi di detenzione: «Il regime nordcoreano insulta il Cristianesimo e lo considera la principale minaccia tra le religioni; il regime associa il Cristianesimo all’Occidente e in particolare agli Stati Uniti […]. Attraverso una stretta sorveglianza, il regime cerca attivamente di identificare e individuare i cristiani che praticano la loro fede in segreto, per poi imprigionarli, spesso insieme ai loro familiari, anche qualora questi non siano altrettanto praticanti» (rapporto Uscirf, 2018).
Come nell’antica Roma, i cristiani nordcoreani sono costretti a vivere nella più totale segretezza, rischiando ogni giorno la propria vita per il semplice fatto di riconoscere nella loro vita Gesù Cristo. Fino al 2013 l’annuario pontificio indicava come arcivescovo titolare dell’arcidiocesi di Pyongyang mons. Francis Hong Yong-ho (classe 1906!), imprigionato nel 1949 a seguito delle persecuzioni del regime di Kim Il Sung: da allora non si ha più alcuna sua notizia. Il fatto di lasciare fino al 2013 come vescovo titolare una persona che avrebbe avuto 107 anni è stato un modo della Santa Sede per indicare anche tramite i suoi canali ufficiali quanto sia delicata la situazione in quel Paese. Dal 2013 mons. Hong Yong-ho non viene più indicato, lasciando indicato solamente l’arcivescovo di Seul come amministratore apostolico sede plena, come accade dal 1950.
Il rapporto parla inoltre di 4.476 uccisioni e di 4.744 cristiani detenuti senza alcun processo ma colpevoli solo della loro fede. Tra le 100 nazioni monitorate da Open Doors «si conferma l’escalation della persecuzione in termini assoluti mantenendo l’impressionante accelerazione degli ultimi 12 anni, con 13 Paesi a livelli estremi». Tra questi tredici, in ordine decrescente, figurano: Corea del Nord, Somalia, Yemen, Libia, Sudan, Eritrea, Nigeria, Pakistan, Iran, Afghanistan, India, Arabia Saudita e Myanmar. Interessante notare come il Mali sia al quattordicesimo posto e la Cina al quindicesimo, nonostante gli sforzi diplomatici perpetrati dalla Santa Sede. In particolare a riguardo di quest’ultima si registra una collaborazione con la Corea del Nord per il rimpatrio delle persone, in prevalenza donne, che scappano dalla dittatura: grazie anche ai sistemi di riconoscimento della Repubblica Cinese non è difficile riconoscere e rimpatriare queste persone, che una volta tornate in Patria saranno poi condannate a morte o ai campi di prigionia.
Delle 13 nazioni citate (delle quali 10, dice il rapporto, hanno come religione principale l’Islam) «le fonti di persecuzione sono connesse a una società islamica tribale, all’estremismo attivo e all’instabilità endemica. La fede cristiana va vissuta nel segreto e, se scoperti, i cristiani (specie se ex-musulmani) rischiano anche la morte».
Una particolare menzione va al Myanmar, la cui situazione ricorda per certi versi quella dell’Iraq ai tempi dell’Isis e dell’invasione di Mosul, quando i cristiani furono costretti a fuggire da un giorno all’altro rifugiandosi in campi d’accoglienza: in questo Paese è in corso una guerra civile nella quale vengono soventemente attaccate le chiese cristiane, accusate di essere un nascondiglio per i ribelli. Allo stesso modo anche i ribelli attaccano le comunità cristiane: il risultato è che sono almeno 100.000 i cristiani scappati nei campi di sfollati pur di non rimanere vittime delle violenze delle due fazioni.
Il rapporto parla anche della crescita dei matrimoni forzati, arrivati a 841: questo dato va purtroppo preso per difetto, così come il dato relativo alle violenze sulle donne cristiane, pari a 3.944, dovuti al fatto che in molti Paesi rimane impossibile denunciare.
In conclusione, il rapporto di Open Doors, da leggere attentamente e da integrare con quelli della Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre, è uno specchio preoccupante della situazione dei cristiani nel mondo, che fornisce un quadro quanto più verosimile di quello che sta accadendo. Numeri che non possono che scuotere le coscienze: “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9).
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