Nella giornata di oggi si è tenuta una nuova udienza sulla brutale morte di Giulio Regeni nel corso dalla quale la madre Paola Deffendi ha raccontato quegli ultimi – difficilissimi – giorni dalla scomparsa al ritrovamento (ormai cadavere) del figlio quando apprese per la prima volta tutto quello che aveva subito in quel carcere del Cairo: una testimonianza importante e che apre definitivamente alla pagina principale del – prevedibilmente lungo – processo sulla morte di Giulio Regeni nel quale sono imputati i quattro 007 egiziani Usham Helmi, Sabir Tariq, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif accusati – a vario titolo – di sequestro di persona pluriaggravato e nel solo caso dell’ultimo di concorso lesioni personali aggravate e concorso in omicidio aggravato.
Tornando alla testimonianza della madre di Giulio Regeni, prima di arrivare a quegli ultimi giorni Deffendi ha voluto ricordare il figlio come una persona che “fin da bambino era appassionata di storia” e – soprattutto – del “mondo arabo” scoperto quasi per caso e portato nel cuore per tutti gli anni delle scuole dell’obbligo: un ragazzo – ha spiegato – “sobrio” al quale “non piaceva apparire” e che aveva sempre conservato il sogno di “trovare lavoro” in quel mondo arabo che tanto gli piaceva.
Il racconto della madre di Giulio Regeni: “Lo sentii l’ultima volta il 24 gennaio, poi mi dissero che era scomparso”
Entrando nel vivo della sua testimonianza, ricorda di aver sentito per l’ultima volta Giulio Regeni “il 24 gennaio 2016 via Skype” quando si raccomandò caldamente che restasse in casa l’indomani per via del significato “al Cairo di quella data”; mentre da quel momento l’ultimo ricordo che ha risale al 27 gennaio quando ricevette una chiamata dal marito – che ricorda aver avuto “una voce mai sentita” – che la richiamò a casa e solo in quel momento “mi disse che era scomparso“.
Tutto fino a quando non ricevettero una chiamata dall’ambasciatore Massari che – racconta ancora la madre di Giulio Regeni – “ci disse ‘stiamo arrivando io e la ministra Guidi’” portando quelle che capirono subito non essere buone notizie: “Quando sono arrivati a casa ci hanno abbracciati facendoci le condoglianze” e in quel momento il suo mondo si è disgregato; mentre l’ultima volta che vide il figlio fu “quando ho dovuto riconoscere il corpo” guardandone solamente il viso.
“Era coperto da un telo – ricorda ancora la madre di Giulio Regeni – e chiesi di poter vedere almeno i piedi“, ma fu lo stesso ambasciatore ad impedirglielo suggerendole di “ricordarlo come era” e fu in quel momento che “capii che era stato torturato“, mentre una suora lì vicino “mi disse ‘suo figlio è un martire'”; infine Deffendi ha anche voluto raccontare un dettaglio del quale non ha mai parlato in precedenza, ricordando che al suo ritorno dal Cairo incontrarono per caso l’ambasciatore egiziano: “Ci siamo seduti accanto a lui – ha spiegato – chiedendo se sapeva che c’era un processo in Italia sul caso Regeni” e lui “disse di sì”.