Caro direttore,
oggi entrata straordinaria a Bollate, di domenica. Sì perché normalmente, noi volontari di Incontro e Presenza, entriamo di sabato ma oggi era una giornata speciale, al reparto femminile. Oggi, infatti, una detenuta, un’amica, ha ricevuto la Cresima. Scelta, non casuale, la domenica del Battesimo di Gesù. Nella piccola cappella del reparto ha celebrato il rito il Vicario Episcopale della diocesi di Milano, don Luca Bressan. Eravamo una trentina di persone pigiatissime, alcuni volontari e diverse detenute.
È la prima volta che assisto a una messa a reparto. La cappella ha le dimensioni di una cella, solo senza l’angolo cucina, il bagnetto, i letti, il tavolo, gli armadietti e gli sgabelli dove vivono fino a cinque donne. Così inizio la messa, cercando di immaginarmi gli oggetti e la suddivisione della cella e non riesco a farci stare, a mente, tutte queste cose in uno spazio così ristretto. Decido di fare attenzione alla celebrazione in corso. Siamo talmente stretti che mi ritrovo a ridosso dell’altare, però da questa posizione posso spaziare a 360 gradi, dal volto del Cristo appeso sopra (c’è una stupenda riproduzione del crocifisso di San Damiano) ai volti delle donne, una ventina su 180 ospiti del reparto femminile, che partecipano alla Messa.
Colpisce la partecipazione, a volte fino alla commozione, delle detenute, l’attenzione alle letture e alle parole del Vicario, i canti ben preparati e soprattutto il modo di cantare. Sembra veramente una preghiera, una domanda. Mi rendo conto che sto assistendo a qualcosa di straordinario: è l’esperienza dell’unità, non come unione di idee o intenti, ma un’unità dello sguardo, siamo tutti mendicanti davanti al Mistero che fa tutte le cose.
Così comincio ad addentrarmi con lo sguardo dentro gli occhi di queste donne, cercando di carpirne la domanda, e vedo occhi in attesa, bramosi di un senso, di amore, di una risposta a quella domanda di essere liberate, dal carcere sì, ma soprattutto da quell’inferno che è il sentirsi abbandonate, considerate una cosa, raramente una persona, e mi rendo conto che è la stessa mia domanda e quella di tanti altri qua fuori, con la differenza che noi non lo sappiamo di che razza di domanda si tratta. Al momento della Consacrazione, l’inferno si fa sentire, fuori qualcuno urla e impreca, e ci ricorda che siamo in galera dopotutto. Ma qui dentro, stranamente, si continua a respirare perché si può stare dentro l’inferno, se si sta attaccati all’abbraccio di quel qualcosa o qualcuno che inferno non è. È un mistero ciò che accade, non lo puoi spiegare ma lo puoi riconoscere e questo basta per far festa.
Terminata la messa, l’altare si trasforma, senza soluzione di continuità, da mensa eucaristica a mensa imbandita di focacce, pizzette e dolcetti e tanti sorrisi e abbracci e doni. È un’eucarestia anche questa, un rendimento di grazie, per una compagnia alla vita che fa respirare, letteralmente. Mi vengono in mente certe immagini di feste natalizie ricevute da amici di Betlemme e della Siria, anche lì l’inferno imperversa, come ha detto durante l’omelia don Luca, ricordando i tanti bambini innocenti martoriati nel mondo. “Una continua strage degli innocenti”, l’ha definita. Ed è qui che la commozione raggiunge l’apice, squarciando il cuore delle tante mamme presenti, il cui più grande dolore, più della detenzione, è quello di non poter vedere i propri figli, non poterli vedere crescere e, ancora più straziante, riconoscere di essere la causa delle loro sofferenze. Eppure si fa festa.
Oggi Bollate era un po’ Betlemme, la Terra Santa, la Siria, l’Ucraina, terra di dolore ma anche terra di speranza, quella che si percepisce come promessa di bene dentro un abbraccio amorevole di qualcuno che fa compagnia e non ti abbandona dentro l’inferno dei nostri giorni.
La giornata è proseguita nelle solite cose da fare, ma con dentro il cuore gli occhi di queste amiche, assetate, fors’anche inconsapevolmente, di Cristo, e quelli del crocifisso che parlò a San Francesco, assetati del cuore di queste donne, e anche del mio.
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