A proposito di Unione Europea, ricordiamo alcune dichiarazioni del 1950, quando si decise la nascita della CECA (Comunità del carbone e dell’acciaio), il primo passo verso l’Unione Europea.
Il ministro degli Esteri francese Robert Schuman disse nel maggio di quell’anno: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta; né sarà costituita tutta insieme: essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”.
Il tedesco Konrad Adenauer espresse il convincimento che “l’unità europea era ed è essenziale per la pace e una stabilità durature”. L’italiano Alcide De Gasperi sosteneva: “L’Europa esiste nella sua essenza. Ma è visibilmente sminuzzata e tagliuzzata da divisioni territoriali, barriere economiche, rivalità nazionali”. L’obiettivo era superarle con i fatti, era quello di evitare una crisi dell’ordine che vedesse l’Europa come una realtà in crisi e inconsistente. Purtroppo è quello che sta avvenendo.
Il realismo delle visioni dei “padri fondatori” è quasi inquietante rispetto a quello che si vede oggi dopo 75 anni, proprio rispetto al declino di ideali e aspettative che si avevano nel 1950.
Nel 1951 si scelse la CECA come “rampa di lancio” per l’unità, perché il carbone e l’acciaio erano i principali materiali con cui si fabbricavano armi. Quindi mettere in comune la produzione impediva un riarmo segreto ai contraenti del Trattato, che furono sei: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Il primo passo verso l’unità funzionò, tanto è vero che sei anni dopo, il 25 marzo 1957, furono firmati i Trattati di Roma, considerati come l’atto di nascita della “grande famiglia europea”.
Il primo trattato costituì la Comunità economica europea (CEE), il secondo invece una Comunità europea dell’energia atomica, meglio conosciuta come Euratom. A firmare furono gli stessi sei Paesi che avevano aderito alla CECA.
Comincia dopo qualche anno un lento allargamento della CEE. La Gran Bretagna fa una prima domanda negli anni Sessanta, ma la Francia si oppone e solo nel 1973 entra nella Comunità economica.
Quando si arriva al 1992, al 7 febbraio, sono dodici i Paesi che siglano il Trattato di Maastricht e il 1 novembre 1993 viene fondata l’Unione Europea. Nascono in quel periodo le speranze, anche perché il Muro di Berlino è caduto nel 1989, come d’incanto, come se fosse una naturale conseguenza del fallimento e della tragedia del marxismo-leninismo, di chi conviveva nella Guerra fredda, con pressioni di egemonia culturale, ma anche talvolta militare (si pensi alla vicenda dei missili SS-20), contro l’Occidente.
Che cosa era accaduto? Era finita la storia, come sostiene qualcuno, oppure stava cominciando un’altra storia? In realtà stava letteralmente cambiando un’epoca. Avvengono sconvolgimenti geopolitici enormi, si arriva a una nuova rivoluzione tecnologica che sostituisce di fatto il vecchio mondo del lavoro e la sua organizzazione.
Nello stesso tempo tramonta lentamente l’“impero americano” che ha caratterizzato il Novecento, scompare come grande Stato dell’Est l’“impero sovietico” e sulla scena entrano in tutti i settori della vita sociale ed economica la Cina e i cosiddetti BRICS, i Paesi emergenti che, anche loro, cominciano ad affacciarsi in tutti i settori della vita economica, sociale, militare.
L’Unione Europea si trova necessariamente a dover interpretare un nuovo ruolo geopolitico. Ne avrebbe la possibilità, ma quando si cerca di realizzare il Trattato di Maastricht non sono in pochi a rendersi conto che si stanno commettendo degli errori: sulla visione economica innanzitutto, dove si accetta passivamente il modello americano che l’Europa non aveva mai usato integralmente. E lo accetta nell’economia, sposando la finanziarizzazione che viene dall’America, sopportando anche le crisi che l’America esporta.
C’è poi il fatto che la classe dirigente europea non riesce a realizzare e vincere le sfide fondamentali che ha di fronte e che ha sempre avuto fin dalla nascita. La prima è quella di un’Europa come destino spirituale e culturale. Dopo gli Stati, dopo il riconoscimento della sovranità degli Stati, l’Europa deve (doveva!) fare un salto: diventare un’istituzione politica sovranazionale e federale. Non c’è ancora riuscita e sembra non pensarci nemmeno più. Una Costituzione elaborata e proposta venne bocciata nel 2004 da due Paesi: dalla Francia e dall’Olanda.
Segue poi una grande sfida in questo periodo di cambiamento epocale: quella della produzione, ma sopratutto quello della ricerca. A pensarci c’è da diventare matti, pensando a quello che l’Europa ha creato nell’epoca dei Comuni, del Rinascimento, dell’Illuminismo, delle rivoluzioni democratiche, del capitalismo e dello stesso socialismo della seconda internazionale, del welfare state e del riformismo, che sapeva correggere in modo positivo sia il socialismo che il capitalismo nella sinergia di una società liberal-democratica, con una formazione culturale, classica e scientifica, di prim’ordine.
A tutto questo occorre aggiungere una crisi demografica e un’immigrazione che viene affrontata in modo diseguale dai Paesi europei, Stati che hanno un diritto di veto sulle scelte comuni. Incapace di trovare una soluzione europea, l’Unione si è limitata a imbarcare una serie di adesioni (al momento sono 27 gli Stati che vi appartengono) che non risolvono i problemi di fondo. Di fatto gli Stati europei hanno trattenuto le loro competenze decisive: la politica estera, il bilancio, la difesa, il fisco. Lasciando addirittura che alcuni Paesi diventassero una sorta di “paradisi fiscali”, aumentando così le differenze, le anomalie sociali, gli spostamenti di investimenti senza che la politica possa impedirlo.
Con questa struttura e con la crisi dell’ordine mondiale di fronte a guerre in corso e a guerre future, che appaiono inevitabili, l’Unione Europea è costituita da Paesi che discutono forsennatamente di quello che accade al loro interno e si riduce a Bruxelles a scrivere note a margine agli avvenimenti sconvolgenti che stanno accadendo nel mondo.
Non sarebbe necessario un cambiamento dei trattati e un tentativo di rilancio di questa Europa, mentre una parte consistente sostiene che va bene così? Se non si cambia rotta di fronte a una situazione come questa, per gli ideali e la tenacia con cui cominciarono ad agire, Schuman, Adenauer e De Gasperi molto presto si rivolteranno nella tomba e diventeranno storicamente degli sconosciuti.
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