Avviare un dialogo sul tema dell’inclusione scolastica, partendo dall’esperienza di famiglie con figli disabili e senza la pretesa di delineare un quadro teorico o legislativo su tema. Questo l’intento del recente incontro Un bene per tutti: valorizzare la persona con disabilità a scuola svoltosi al Meeting di Rimini, promosso da due associazioni che si sono date come scopo proprio quello di accompagnare le famiglie nel loro percorso di vita, con uno sguardo speciale all’educazione: Sostieni il Sostegno e La Mongolfiera ODV. Un’occasione per parlare di scuola e disabilità con chi “respira la polvere delle classi”, ha sottolineato il prof. Luigi D’Alonzo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che dirige il Centro studi e ricerche sulla disabilità e la marginalità (Cedisma) ed è Coordinatore nazionale dei corsi di specializzazione per gli insegnanti di sostegno.
“Gli italiani sono il faro del mondo dell’inclusione, perché in Italia la scuola o è inclusiva o non è scuola – dice D’Alonzo –. La persona con disabilità non è il suo deficit, ha una sua dignità in quanto persona fatta a immagine di Dio”. Ma perché includere gli studenti disabili nelle classi “ordinarie” è un valore positivo per loro e per l’intera classe, ha domandato Tommaso Agasisti, professore del Politecnico di Milano e moderatore dell’incontro? “Perché li introduce alla vita, che è un grande porto di mare pieno di diversità – è stata la risposta di D’Alonzo –. E in questi 50 anni l’inclusione ci ha detto molto, ci dice che dobbiamo abbandonare i metodi tradizionali (dove il singolo docente faceva tutto) se vogliamo soddisfare i bisogni di tutti gli allievi. Dobbiamo lavorare insieme. E nelle scuole dove si lavora bene in questo senso vediamo professori che creano innovazione e risultati. E la prova è al termine della filiera scolastica: in università, con oltre 36mila persone certificate che la frequentano nonostante il loro deficit”.
Gli ha fatto eco Giulia Guglielmini, presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo. “Lo dice l’Ocse, andando a valutare le competenze trasversali: le classi dove c’è un alunno portatore di disabilità sono quelle dove tutti sviluppano con più facilità le competenze socio-emotive. Tutta la comunità scolastica ha un potenziamento di queste facoltà, non è un bene solo per gli alunni, ma per tutti”. Matteo Severgnini, rettore della Scuola Regina Mundi di Milano, e con un passato recente di direttore della Luigi Giussani High School di Kampala, ha sottolineato l’importanza della relazione tra il singolo e la comunità: “Dentro una comunità educante emerge un ‘io’ che a sua volta dona significato a tutta la comunità. Perché chi è più fragile mi invita a guardare la mia debolezza strutturale e profonda”.
Come si può tradurre questo nelle situazioni quotidiane di convivenza tra ragazzini in età scolare? “Non può essere un puro ragionamento, ma una vita vissuta. Alla Regina Mundi i nuovi ragazzi con situazioni di disabilità vengono presentati a tutto il collegio, non solo al consiglio di classe. Tutti i docenti, di tutte le materie, non solo gli addetti ai lavori del sostegno: perché all’intervallo, nei corridoi, tutti abbiamo in mente e a cuore quell’io speciale. Accogliere quell’io speciale chiede un vero ‘noi’ innanzitutto tra gli adulti. Ciò che tutti gli altri ragazzi hanno come strumento per imparare è innanzitutto il rapporto tra questo nostro ‘noi’ e il fragile ‘io’. Non si tratta di essere all’altezza, ma di stare”.
Ma quali sono gli ostacoli principali, di natura culturale, organizzativa, didattica, economica nel favorire una reale inclusione, e le strade per provare a superarli? “Vedo attualmente nella scuola una grande sofferenza, una grande crisi di visione” ha osservato D’Alonzo. “Molti collegi docenti stentano a capire le reali ragioni di lavorare in un certo modo. Se ti manca quella visione manca anche una cosa fondamentale, la passione. Dobbiamo lavorare su questo perché un insegnante che riconosce i bisogni dei propri allievi può fare la differenza. Ma come fai ad attrarre i ragazzi se non hai passione? Dobbiamo impostare meglio la formazione degli insegnanti, che oggi è ridicola”.
Guglielmini si è chiesta anche cosa accada dopo la scuola. “È necessario fare rete in ogni modo, soprattutto a livello territoriale, a partire quindi dai soggetti più prossimi alla persona con disabilità. Si deve parlare più di orientamento, trovare e pianificare dei percorsi possibili dove tutti sono coinvolti, dall’Asl alla famiglia. Questo è l’essenziale di cui abbiamo bisogno: guardare al futuro ‘insieme con’ gli alunni con disabilità, non da soli”. Un tema caro, questo, anche a Severgnini: “Di scuola ci si può ammalare, ma di solitudine si muore”. E allora quali sono gli aspetti per accompagnare le famiglie con situazioni di disabilità? Il rettore della Regina Mundi individua tre punti: “Formazione, mirata a chi ha il compito di seguire questi bambini, ma che a cascata si riversi su tutti per abbattere la paura di relazionarsi con qualcosa che è al di fuori dei tuoi schemi; l’esigenza economica, perché gli aiuti alle medie e superiori sono troppo carenti. Ma quando si capisce che l’accoglienza è un valore si diventa creativi, l’aspetto economico non può più essere un ostacolo; esigenza organizzativa e didattica, perché la vera accoglienza è la libertà di un rapporto, lasciare spazio a te dentro di me. Tutta la classe può imparare da te. Bisogna creare nuovi spazi, nuovi laboratori. La classe tradizionale va ripensata”.
Un esempio? La storia di una ragazzina delle medie con Sindrome di Cornelia de Lange: “Ogni giorno sceglieva due compagni che potessero uscire con lei a fare colazione. Dopo il disagio iniziale della condivisione di quell’atto è esplosa un’amicizia, i bambini facevano a gara ad essere scelti. E da lì la condivisione di quel momento: l’ora della colazione è diventata un momento per dipingere insieme, da cui ne è nato un libricino che racconta cosa questi compagni hanno imparato da questa esperienza”.
Un momento, quello dell’incontro dello scorso sabato, ricco di testimonianze e di spunti che – a partire dalla coscienza che ogni bambino merita uno sguardo particolare, come unico e irripetibile è il suo contributo al mondo e il suo percorso di compimento – può aprire ed ampliare il dibattito su un tema così prezioso e delicato.
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