Grazie a DeepSeek il mondo pare aver scoperto improvvisamente che la bolla AI esiste realmente. Benvenuti. Il sottoscritto lo scrive da mesi, facendo le pulci a conti e numeri di Nvidia, il vero contrafforte dell’intera impalcatura.
Ma non pensiate che quanto sta accadendo sia casuale. O credete davvero che in una settimana una misconosciuta azienda cinese costata 200 milioni di dollari possa scalzare OpenAI e divenga la app per AI più scaricata negli Stati Uniti? O pensate che sia casuale che il suo assurgere a nuovo fenomeno mediatico sia stato innescato dalla disputa a colpi di tweets tra Elon Musk e il CEO di OpenAI, accusato insieme al socio giapponese SoftBank di millantare investimenti miliardari in Stargate Project – il piano da 500 miliardi per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale USA – senza avere la reale disponibilità? O pensate che il cambio di pensiero della CIA rispetto alla fuga del Covid dal laboratorio di Wuhan sia frutto di genuina presa di coscienza basata sui dati e non il disperato tentativo della Silicon Valley e del sottobosco di potere della Bidenomics che l’ha fatta prosperare – a colpi di unicorni e bilanci allegri – di instillare nelle menti dell’americano medio il sillogismo in base al quale tutto ciò che esce da un laboratorio cinese sia il Male assoluto?
Signori, stanno cercando di sgonfiare la madre di tutte le bolle in maniera ordinaria e ordinata. E fanno bene. E speriamo che ci riescano. Perché l’alternativa di mercato, intesa come sacrosanto ritorno al fair value, si sostanzierebbe in un 2008 moltiplicato per cento. Perché la Cina con DeepSeek sta gridando al mondo che il Re dei market cap da record per le aziende dell’AI statunitense è nudo. E che di conseguenza, le valutazioni degli indici azionari basati al 90% sulle performance delle cosiddette MAG7 del tech sono nulla più che uno schema Ponzi. Destinato a crollare, se non si fa in modo di puntellarlo con un po’ di realtà. E soldi statali veri e non swaps o crediti sul cloud.
Pensate che la telefonata intercorsa fra Donald Trump e Xi Jinping la scorsa settimana non abbia toccato l’argomento? Pensate che i guanti di velluto che la nuova Amministrazione Usa sta utilizzando con Pechino siano dovuti ad altro, se non al fatto che la Cina è in grado di colpire Wall Street al cuore in mezza giornata, prima ancora che l’orgoglio industriale e della ricerca statunitense? Dati alla mano, DeepSeek va in outperformance sui prezzi rispetto a OpenAI. E non di poco: ottiene praticamente lo stesso risultato, open source, con solo il 3% in costi di hardware. Ovvero, appunto, il Dragone ha appena mostrato al mondo quanto sia facile e a portata di mano scoperchiare il vaso di Pandora di centinaia di miliardi di dollari confluiti nel comparto AI statunitense e divenuti spina dorsale dell’equity market. E non ci vuole certamente un genio o un laureato per capire quale potrebbe essere la naturale conseguenza di quanto sta accadendo. Se quanto finora contabilizzava a 100 in realtà si può fare con 5 o massimo 10, il tuo market cap e i tuoi flussi di investimenti sono destinati a crollare, così come il valore delle tue azioni. Da cui tutti vorranno liberarsi prima che si riesca a cederle solo a 60 centesimi sul dollaro, se va bene.
Ovviamente, tutto questo porta con sé dell’altro. Finita la purga, la paura e le perdite per qualcuno che dovrà operare da capo espiatorio e da agnello sacrificale del Sistema, tutto ricomincerà su valutazioni reali e più sostenibili. A quel punto, nuovo rally tech da acquisto sui minimi. Chi sceglierà il timing e il prezzo di ingresso giusti, mentre tutto intorno pare crollare, farà davvero i soldi. E a livello industriale, la sua fortuna in un mercato che finalmente metterà in secondo piano accountability dopata e finanziarizzazione di massa in stile subprime. Non a caso, rischiamo lo stesso epilogo.
Quanto sta avvenendo in queste ore è il sacrosanto tentativo di arginare uno tsunami che prende il via da un dato di fatto preciso. Cioè, l’improvvisa presa d’atto collettiva del fatto che il denaro investito in quelle aziende fino a ieri dipinte come avanguardiste, invincibili e senza concorrenza nel business del futuro era invece solo un investimento altamente speculativo e in molti casi totalmente incapace di generare un reale return, visto come una misconosciuta azienda cinese ottenga i medesimi risultati con una frazione dei costi. A occhio e croce, tempo una settimana al massimo, vedrete che l’attenzione dei media si sposterà sul capro espiatorio meno invasivo: ovvero, società di rating e di auditing. Per capirci, chi certificava i bilanci di quelle aziende tech sbugiardate dall’underdog cinese. Passo successivo, qualche scoperta sensazionale (ovviamente disponibile da mesi, se non da anni e debitamente tenuta nei cassetti) e in grado di abbassare drasticamente i costi. Una sorta di riconciliazione con il mondo e l’opinione pubblica, un riavvicinamento, una prova di fiducia, un atto di contrizione. Come per la bolla del 2000. Ma qui i tempi stringono e i miliardi in ballo sono tanti, troppi. Nvidia non può fare la fine di Cisco, tanto per capirci. Perché il crollo avrebbe ramificazioni e controvalore non tamponabili.
Questa volta il Sistema imparerà la lezione? Non sperateci. Il modello Usa è questo: predazione. E penitenza. L’unica differenza con il passato è che appunto i controvalori in campo, fra collaterale e derivati, impongono una bolla e la sua esplosione controllata ogni due anni. E non ogni decennio o ventennio. Vi piace un mondo tutto app e consegne a casa a ogni ora e a prezzi stracciati? Ecco uno dei costi accessori. Perché non esistono pasti gratis, ricordatevelo sempre. E magari, da oggi in poi, prestate meno attenzione e investite meno entusiasmo verso il sarcasmo che certi plurititolati accademici riservano a chi nutre il dubbio, ottenendo per tutta risposta lo stigma di complottista o catastrofista. Perché erano in tanti a glorificare l’AI e il tech Usa e a benedire il modello americano sublimato dal rally senza fine di Wall Street. Proprio tanti. Oggi, ovviamente, negano. O saltano sul carro dei censori.
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