Giulia e Filippo, la violenza di una promessa impossibile

- Federico Pichetto

Giulia Cecchettin è stata barbaramente uccisa. Non abbiamo il diritto di prendere tutto: chi ci ha illuso che tutto è dovuto?

incidente_omicidio_carabinieri_3_lapresse_2017
(LaPresse)

Come può l’amore trasformarsi in orrore? La morte di Giulia Cecchettin, il ritrovamento del suo corpo martoriato da ferite profonde e reiterate, apre una riflessione che va oltre Filippo Turetta, l’ex fidanzato che tutti gli indizi indicano come il principale sospettato del terribile delitto. Non si tratta solo di denunciare l’ennesimo femminicidio, il 105esimo commesso quest’anno in Italia, e non si tratta neppure di sottolineare soltanto una cultura maschilista che fa della donna – di ogni donna – una possibile vittima. C’è qualcosa di più profondo in questa vicenda, qualcosa che riguarda la natura dell’uomo e la cultura nella quale è immerso.

Nessun individuo è immune dal male: raccontare di Filippo come di un bravo ragazzo è semplicemente stupido, perché non esiste bravura o storia familiare che possa rendere la libertà perfetta. Ogni persona si porta dentro una ferita, un’incapacità di vivere l’esistenza fino in fondo, attraversando ogni sentiero e ogni desiderio. Turetta non è da meno e sorprendersi del fatto che possa aver aggredito e ucciso Giulia significa avere poca dimestichezza con se stessi, con l’ombra che ci portiamo appresso e che rende ognuno di noi bisognoso di salvezza.

Eppure, c’è di più. La cultura che ha dominato l’Occidente a partire dal XVIII secolo insegna che l’uomo è radicalmente libero, che l’unico legame – l’unico debito – che egli ha con la società è quello fiscale: una volta che le tasse sono pagate, nulla deve turbare il desiderio umano, nulla gli deve essere negato. La realtà è ben diversa: non sono solo i tributi a cementare l’appartenenza alla comunità, ma anche l’esercizio di alcune scelte e di alcuni valori. Nessuno può desiderare quello che vuole e nessuno può fare quello che vuole: il desiderio ha un limite, la volontà individuale è chiamata ad avere un argine. Il compito decisivo di una comunità è abituare ogni cittadino ad accettare l’edificio normativo che fonda la convivenza civile: accettare che non puoi avere quello che vuoi, che non hai diritto di prendere tutto, che devi imparare a stare in contatto con la possibilità che la vita ti dica di “no”.

Qui c’è tutto il dramma di Filippo che, probabilmente accompagnato da una personalità narcisista non rilevata, non è stato capace di accogliere il “no” di Giulia, il fatto che lei prendesse il volo e che – con l’evento simbolico della laurea – fosse davvero pronta a voltare pagina, spingendosi al di là di quella relazione nata tra i banchi dell’università e terminata a fatica da pochissime settimane.

È quindi giusto leggere questo delitto alla luce di una questione di genere, che evidentemente esiste, ma non si può ridurre questo delitto ad una questione solo di genere: è la fragilità umana che – esasperata da una cultura in cui tutto è dovuto – svela il proprio lato terribile e violento.

C’è tuttavia un ultimo passaggio che sarebbe disonesto omettere: questa storia ci racconta di un uomo convinto che tutta l’attesa del proprio cuore sarebbe stata esaudita dal possesso di una donna. Filippo si presenta come un desiderio che pretende di vedere in Giulia il proprio tutto. Il cuore ha un anelito così grande che nulla può quietarlo. Qualora si pensasse di poterlo addomesticare con un amore, anche il più nobile e il più bello, esso andrebbe decisamente incontro ad una tremenda delusione e ad una violenta pretesa. Filippo ha preteso che Giulia gli risolvesse la vita, che gli riempisse il cuore, che fosse lei a curargli le ferite dell’anima. E non ha retto l’amara scoperta che lei non era tutto, ma un po’ meno di tutto, che lei non voleva essere un oggetto nelle sue disponibilità, ma una persona con la sua volontà e la sua storia.

Quanta violenza cova nelle nostre case ogni volta che non percepiamo l’altro come segno, come mistero. Tutto si trasforma in pretesa e ogni azione diviene potenzialmente un gesto di barbara violenza. Se non apparteniamo ad un grande amore, ogni amore si rivela troppo piccolo. E ciò che prima curavamo come la nostra rosa più preziosa diventa terminale di un orrore e di un odio senza fine. Non esiste realtà che non tradisca la promessa del cuore perché il cuore è fatto per l’infinitamente grande e si dispera per ciò che scopre più piccolo.

Il corpo di Giulia, dilaniato dalla brutalità disumana del suo assassino, racconta una storia antica, quella dell’incapacità dell’essere umano di tenere aperto il desiderio del cuore. Un’incapacità che è possibile superare solo dentro un’appartenenza più grande, solo dentro una compagnia radicale fatta di volti e di storie che ci aiutino ad alzare lo sguardo, a guardare più in là. A non ridurre coloro che abbiamo accanto all’oggetto ultimo della nostra pretesa. Al bersaglio di una rabbia che, in fondo, altro non è che un grido di disperazione che si abbatte su ciò che un tempo chiamavamo amore. E che, adesso, nella furia della nostra delusione, è soltanto un’altra pagina di orrore. Segno inequivocabile di un dolore che non si è fatto abbracciare da nessuno.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi Editoriali

Ultime notizie