Ieri, lunedì 20 gennaio è stato il giorno della rivincita per Donald Trump. Dopo la sconfitta bruciante e mai apertamente accettata di quattro anni fa, con le polemiche e le manifestazioni, a volte violente, che ne sono seguite, il 45esimo presidente è da oggi diventato il 47esimo presidente, il presidente in carica.
Sono stati quattro anni di purgatorio per il tycoon, in cui ha potuto analizzare le ragioni della sconfitta e programmare il suo ritorno in campo. Anni in cui ha trovato nuovi alleati (si pensi ad Elon Musk, ma non solo), anni in cui ha guidato una opposizione dura ma seria, anni in cui nel fronte repubblicano non sono emerse figure in grado di scalzare la sua leadership, rendendo le primarie del Gop poco più che formalità. Sono stati anni di crescita economica per gli Stati Uniti, ma anche di inflazione, che ha ridotto il potere di acquisto di quella classe media, spesso bianca e abitante delle periferie suburbane, che quattro anni fa voltò le spalle a Trump ma che quest’anno lo ha sostenuto in massa. Sono stati anni in cui Trump ha potuto rafforzare la propria immagine nei confronti delle minoranze, in particolare quelle ispano-americana ed asiatica, che hanno apprezzato la sua attenzione alle materie economiche e alla sicurezza.
Sono stati anni, infine, in cui il presidente Biden ha governato, ma non ha scaldato gli animi, rimanendo ostaggio di una sinistra liberal, estremista sul piano dei nuovi diritti civili e senza idee sul piano economico. Sinistra che comunque non è stata in grado di presentare un candidato che potesse concorrere con Trump, rivolgendosi prima al vecchio Joe e poi all’ex astro nascente Kamala, che era però stata eclissata nei tre anni precedenti dopo un primo periodo da vicepresidente non certo esaltante e che non è mai realmente stata in partita, checché ne abbiano scritto i giornali.
Nella giornata di ieri Donald Trump è voluto comparire presidenziale, ha tenuto il giuramento al chiuso, a causa del freddo artico che ha colpito Washington in questi giorni, ha festeggiato con i suoi sostenitori alla Washington Arena, e nella serata ha partecipato a diversi gala ed eventi serali, spesso organizzati da suoi sponsor e finanziatori.
Trump arriva a questa inaugurazione con una grande vittoria in campo internazionale, ottenuta ancor prima di assumere la carica: la tregua tra Israele ed Hamas, che dopo 14 mesi di guerra sembra poter dare un po’ di speranza alla Terra Santa. Nel discorso di insediamento non manca di far cenno a questo successo, promettendo una nuova era di accordi, tra Israele e il mondo arabo.
Dopo aver giurato nelle mani del Chief Justice, il presidente ha iniziato il discorso di insediamento dichiarando che “l’età dell’oro dell’America inizia ora”, annunciando che la propria priorità sarà creare una nazione forte, prospera, libera, e promettendo che il suo governo sarà guidato dal principio “America first”. Un discorso di mezz’ora, durante il quale, pur mantenendo un contegno presidenziale, non ha fatto mancare le stoccate alla precedente amministrazione, stringendo al contempo l’occhio al proprio elettorato. Ha confermato l’intenzione di dichiarare lo stato di emergenza al confine col Messico, di combattere i cartelli della droga e del traffico di esseri umani come si combattono le organizzazioni terroristiche e di fermare l’immigrazione clandestina. In politica estera ha annunciato che sarà un uomo di pace ed un unificatore, e che vuole che il suo successo sia misurato nelle “battaglie cui prenderemo parte ma anche nelle guerre che faremo terminare e, ancora più importante, nelle guerre che non faremo”. Sui temi etici, ha ribadito che per lui ci sono solo due generi, maschio e femmina, ma non si è avventurato nel rischioso tema dell’aborto. Ha concluso il discorso richiamando ad una speranza per il futuro dell’America, per una nazione più solida, per un futuro di crescita economica, di sicurezza e di libertà.
Come in tutte le inaugurazioni del mandato presidenziale è d’obbligo guardare alla platea, ammirando i presenti ma anche chi si fa notare per l’assenza. Tra questi l’ex first lady Michelle Obama, da molti ritenuta una possibile leader per il Partito democratico, che dopo un discorso molto duro contro Trump tenuto alla convention di luglio ha preferito declinare l’invito. Presenti tutti gli ex presidenti, Barack Obama, Bill e Hillary Clinton, George Bush e l’uscente Joe Biden con la moglie Jill, assieme alla candidata democratica Harris.
Tra i leader stranieri il posto d’onore è spettato a Giorgia Meloni, unica tra i capi di Stato e di governo UE presente alla cerimonia, che conferma la considerazione con cui la presidente del Consiglio è tenuta da parte del presidente americano e la sua capacità di tenere relazioni con il più grande alleato dell’Italia, accreditandosi come la prima referente europea per il neopresidente. Si sono fatti notare altri leader che fanno parte del variegato mondo delle destre globali, dallo spagnolo Abascal all’inglese Farage, dalla francese Marion Marechal (nipote di Le Pen) al portoghese Ventura, tutti però nelle seconde file. Per la prima volta presenzia alla cerimonia inaugurale il vicepresidente cinese, che si augura una ripresa delle relazioni economiche tra i due Paesi.
Rilevante la presenza del mondo economico e finanziario ed in particolare delle grandi aziende tecnologiche. Oltre ad Elon Musk (Tesla, X, Starlink e SpaceX), spiccavano Mark Zuckerberg (Facebook, Instagram e WhatsApp), Jeff Bezos (Amazon), Sam Altman (OpenAI), Sundar Pichai (Google) e persino Shou Zi Chew (TikTok). È interessante che un mondo come quello della Silicon Valley, storicamente vicino alla sinistra liberal, sta iniziando a guardare con interesse alla presidenza Trump, in attesa di nuove spinte all’economia, di una minore tassazione e di un taglio alla burocrazia, di una maggiore attenzione alla libertà di parola, anche sui social, ed in definitiva di una più ampia libertà di impresa in cui continuare a sviluppare le proprie tecnologie.
Ora è il momento per Trump di passare dalle parole ai fatti: di semplificare la burocrazia, di sostenere l’economia, ma anche il potere di acquisto, di efficientare lo Stato, di combattere l’immigrazione incontrollata e di garantire la sicurezza nelle grandi città, di usare la propria forza ed autorevolezza in campo internazionale per giungere ad un accordo in Ucraina e ad uno in Terra Santa, di dialogare con la Cina tutelando al contempo la manifattura occidentale e di sviluppare i commerci globali. È il momento dei fatti, e su questi Trump dovrà essere giudicato.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.