L’onda lunga di Trump colpirà anche l’Europa. In che modo, lo vedremo presto” osserva Marcello Foa, giornalista e docente universitario, già presidente Rai e conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1. Lunedì Trump ha firmato una raffica di ordini esecutivi a nemmeno un’ora dall’ingresso in carica come 47esimo presidente degli Stati Uniti. Si va dallo stop allo ius soli all’uscita dall’OMS e dall’accordo di Parigi sul clima, una decisione che cancella le politiche green dell’amministrazione americana.
Sono le prime conferme della “rottura drastica con le regole e le logiche dell’establishment che ha governato l’America dall’inizio degli anni 90 fino a Biden”, secondo Foa, e che spesso e volentieri hanno fatto a meno della democrazia. Ora l’Europa, “senza sponda americana, senza forza internazionale, rischia di ritrovarsi aggrappata a un modello che non funziona più”. A poco valgono le offerte di collaborazione di von der Leyen, che da Davos ha fatto dichiarazioni sorprendenti per la loro perfetta continuità.
Marcello Foa, tutti quegli “executive orders” che cosa sono? Una retromarcia, un’inversione di rotta, una spallata?
Semplicemente, Trump è coerente con quel che ha detto in campagna elettorale. Vuole rompere in modo drastico con le regole e le logiche dell’establishment che ha governato l’America di fatto dall’inizio degli anni 90 fino a Joe Biden. Intanto capiremo quali “executive orders” andranno a buon fine e quali saranno rivisti.
Intende dire che non manterrà le promesse?
No. Trump, da eccellente negoziatore, fa grandi richieste per alzare la qualità del risultato, sapendo che normalmente questo è inferiore alle attese. Ma adesso è ancor più forte che nel primo mandato.
Per quale motivo?
Trump-1 è stato costretto a fidarsi di molte persone dell’establishment perché non aveva altra scelta, tra queste il vice di allora, Mike Pence. Stavolta invece si è scelto tutte persone di sua fiducia, che sanno bene come funziona l’amministrazione. Sa di avere solo quattro anni e intende approfittare del momento propizio per lanciare un segnale molto forte.
Trump vuole “invertire” la globalizzazione?
No, vuole cambiarne le regole: è una cosa diversa. Trump è favorevole al business e sa benissimo che si fa business solo se i canali per farlo ci sono.
E quando minaccia di imporre dazi?
Non intende affatto bloccare tutto, vuole indurre i grandi partner a riequilibrare le bilance commerciali e dei pagamenti a beneficio degli Usa.
Però è ostile agli organismi sovranazionali.
Le grandi organizzazioni sovranazionali sono state usate dagli americani per governare la globalizzazione, è un segreto di Pulcinella e lo sa benissimo anche Trump. La differenza rispetto ai suoi predecessori è che quel tipo di “governance” non gli piace. È fatta di sovrastrutture che lui non ama e che considera contrarie ai principi democratici.
E che cosa vuole invece?
Preferisce una globalizzazione in cui le regole e gli accordi vengono presi tra Stati sovrani, non decisi e imposti da organizzazioni come l’OMS, la WTO, le Nazioni Unite, il World Economic Forum e via dicendo.
Assisteremo ad un ritorno agli accordi bilaterali?
Sì, poche regole comuni e tanti accordi bilaterali. Può piacere o no, ma Trump è così. Da adesso, con Trump, le organizzazioni sovranazionali non sono più il perno della strategia diplomatica e strategica degli Stati Uniti.
In concreto cosa significa?
Gli Usa hanno bisogno di riequilibrare il rapporto con la Cina? Bene dialogare nel G7 e nel G20 se sono utili allo scopo. Se non lo sono, Trump si varrà di tutti gli strumenti bilaterali in suo possesso per ottenerlo.
“L’accordo di Parigi continua ad essere la migliore speranza per tutta l’umanità – ha detto ieri dal WEF Ursula von der Leyen – quindi l’Europa manterrà la rotta e continuerà a lavorare con tutte le nazioni che vogliono proteggere la natura e fermare il riscaldamento globale”. Si pongono due questioni. La prima è se von der Leyen è realmente convinta di quello che dice. La seconda è quale scenario si prepara per le relazioni tra Europa e USA.
La distanza con Trump è tale che von der Leyen è stata indotta ad una presa di posizione voluta, di fatto obbligata. È facile obiettare che ad applicare in maniera rigorosa le politiche green è solo l’UE, perché tutti gli altri Paesi si sono dati ampi margini di libertà. Ma il punto fondamentale è che l’Europa oggi è in condizione di grande debolezza, perché il suo establishment non è amato da Trump. E Trump non ama l’Unione Europea perché la considera uno strumento di quelle élites globaliste che lui vuole combattere.
Che cosa ci aspetta?
Per l’Italia è un’opportunità. L’America non può del tutto fare a meno dell’Europa, perché significherebbe isolarsi e a Trump non conviene. La nuova amministrazione ha bisogno di referenti in Europa, e l’Italia, con Meloni e Salvini al governo che di Trump sono e sono stati amici, ha spazi di manovra. Ora Bruxelles dovrebbe ridefinire gli obiettivi e creare una volontà comune.
Altrimenti?
Altrimenti l’Europa rischia di essere messa veramente in difficoltà: senza sponda americana, senza forza internazionale, non ha il peso sufficiente per essere protagonista. Potrebbe rimanere aggrappata a un modello che non funziona più.
In Europa intorno alla transizione ecologica c’è una solidissima bolla narrativa. Infatti le aziende chiudono, ma i cittadini non sanno quali sono i costi veri del green e chi li paga, e forse in Italia lo sappiamo meno che altrove. Questa bolla prima o poi verrà bucata?
È stata bucata e si sta già sgonfiando, è solo questione di tempo. Grandi capitali di impresa si stanno sfilando da questi progetti, è recente la notizia che le grandi società finanziarie, BlackRock, Goldman Sachs, Allianz, Axa, Bank of America, JPMorgan e altre hanno sciolto il patto che le vincolava a non finanziare le società ad alte emissioni, ed anche la FED è uscita dal programma analogo tra banche centrali.
Qual è lo scenario?
Il green come commitment condiviso tra mondo politico e mondo economico era già traballante, adesso Trump ha impresso un’accelerazione. Se l’UE resta ancorata a queste dinamiche rimarrà sola, e l’economia europea, non avendo fonti energetiche solide da tempo, ne subirà ancora una volta le conseguenze.
Trump nel suo discorso di insediamento ha parlato di “sforzi federali illegali e incostituzionali per limitare la libertà di espressione”. Riuscirà a voltare pagina?
Lo ha promesso e dobbiamo augurarci che sia di parola, perché ciò che ha fatto Biden negli ultimi quattro anni è scandaloso. La sua amministrazione ha imposto una censura brutale sui social media, cancellando milioni di account di persone che avevano il solo torto di non condividere la narrativa ufficiale. Questo è avvenuto in maniera non dichiarata, opaca e in totale contraddizione con i valori di un grande Paese democratico come gli Stati Uniti. Adesso servirebbe una riflessione pubblica, ma se conosco bene il nostro mondo dei media, temo che non ci sarà.
Fino a prima dell’insediamento Elon Musk ha utilizzato il proprio peso mediatico per scompigliare i ranghi delle élites di governo, soprattutto in Europa, da Starmer a Scholz. Esperimento concluso?
Elon Musk, come Trump, è imprevedibile, e fino all’altro ieri rispondeva solo a se stesso; è molto probabile che da adesso in poi, avendo un incarico formale, sarà diverso. Vedremo presto se avrà la stessa disinvoltura di prima, ma non vedo dietro a quegli interventi un disegno politico condiviso, piuttosto l’estemporaneità di un personaggio fuori dagli schemi.
(Federico Ferraù)
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