Il fenomeno dilaga ovunque. Armi da taglio, e spesso da sparo, riescono ad entrare nella disponibilità di minorenni. La cronaca è piena di episodi di sequestri, aggressioni e risse tra giovani che non esitano a usare le armi per una difesa (dicono in tanti) che presuppone, però, che qualcun altro le usi per offendere.
Insomma un bel problema.
Ipotesi di risposta, tantissime, manco a dirlo. Dalla (facile) supercazzola sul necessario coinvolgimento di tutti settori della società civile a qualche isolata iniziativa concreta. Risultati? Troppo presto per riscontrarli. La questione però è maledettamente seria perché può segnare “lo sdoganamento” tra i più giovani di una normalità dell’uso di questi strumenti di offesa, con il fatale superamento di un punto di non ritorno. Basta sentire alcune dichiarazioni in tv o sul web di questi ragazzi per capire che “viaggiano” su binari che difficilmente possono incontrarsi con quelli di chi organizza corsi sulla legalità o sul bullismo.
Attesa l’età dei protagonisti, la questione è arrivata inevitabilmente anche nelle scuole, e se queste si trovano in aree di frontiera, diventa emergenziale, in quanto coinvolge la sicurezza di alunni e professori. Un dirigente scolastico di un istituto di Ponticelli, quartiere della periferia est di Napoli, ha addirittura invocato l’utilizzo dei metal detector all’ingresso della scuola.
Sinceramente, vediamo questa proposta difficilmente realizzabile. Al di là dei costi (installazione dei macchinari, personale addetto ecc.) e complicazioni logistiche (code all’entrata), mancano i presupposti di legge per poter dare seguito ad eventuali conseguenze legali (sequestri, perquisizioni, raccolta delle notizie di reato, formulazione delle denunce ecc.) che non possono essere gestite dal personale scolastico. Soprattutto, la scuola finirebbe per avere ulteriori connotati che la allontanerebbero sempre di più da quello che dovrebbe essere: un luogo educativo e di apprendimento del sapere.
Tuttavia non per questo deve passare in secondo piano il disagio di chi non può utilmente svolgere il proprio lavoro; meglio una proposta di scarsa attuabilità, ma che tiene alto il livello dell’attenzione sia degli operatori del settore sia di quella mediatica, che l’oblio.
Anche perché il parlarne aumenta la sensibilità di tutte le istituzioni e, magari, qualcuna mette in campo qualche soluzione, almeno nelle intenzioni, più che apprezzabile. Il Tribunale dei minori di Napoli, per esempio, ha istituito, in via sperimentale, un collegio apposito presieduto dal suo stesso presidente per trattare i casi di possesso di armi da taglio da parte dei minori con rito direttissimo. Ciò permetterebbe di stralciare questi casi dalla massa elefantiaca costituita dai restanti procedimenti ed arrivare al processo entro un mese. Grande realismo da parte della presidente del Tribunale per i minori, Paola Brunese: “È necessario dare un segnale forte per prevenire questo fenomeno orribile; con tale misura non si risolveranno i problemi della criminalità ma si eviteranno nuovi episodi drammatici”.
Importanza della presenza dello Stato, consapevolezza di non essere la panacea di tutti i mali, chiarezza dello scopo. I presupposti sembrano buoni. Tutti ci auguriamo che gli esiti siano proporzionati alle aspettative. Buon lavoro, presidente. Speriamo che il suo esempio sia seguito da altri.
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