A meno di una settimana, lunedì prossimo, dall’inaugurazione della presidenza Trump rimangono sul tavolo tante questioni aperte sulla politica economica del Presidente americano. Sia durante la campagna elettorale e, ancora di più, negli ultimi mesi gli investitori hanno familiarizzato con alcuni punti di un possibile programma economico, dai dazi al ritorno degli investimenti negli idrocarburi, dai tagli al bilancio statale al fastidio espresso dal Presidente per i tassi “troppo alti”. Questi proclami non hanno ancora preso una forma e rimangono sospesi in un limbo in cui, per esempio, non è chiaro se i dazi saranno punitivi o graduali oppure se coinvolgeranno indistintamente tutti i settori e tutti i partner commerciali. Nonostante l’incertezza ci sono già alcuni punti fermi.
Trump eredita un’economia con la disoccupazione ai minimi, i mercati ai massimi e un’inflazione molto più bassa dei picchi del 2022. Sotto la superficie emergono, però, alcune contraddizioni ed elementi potenzialmente destabilizzanti. La crescita è stata ottenuta con un deficit al 7% del Pil anche nel 2024; in uno degli ultimi atti da Presidente, all’inizio di questa settimana, Biden ha cancellato debiti allo studio per 150 mila studenti portando il conto delle cancellazioni durante la sua amministrazione a 183 miliardi di dollari. A metà dicembre il Segretario del Tesoro uscente Janet Yellen esprimeva rammarico per non aver fatto più progressi sulla sostenibilità fiscale. Il conto delle partite correnti degli Stati Uniti è in netto peggioramento e la posizione netta sull’estero ha ampiamente sorpassato i 20mila miliardi di dollari. Per l’Amministrazione Trump riequilibrare l’economia americana non sarà facile soprattutto senza causare episodi di volatilità finanziaria o rallentamenti economici. La sfida è tale che il prossimo Segretario del Tesoro, Scott Bessent, a novembre riteneva che fossimo nel mezzo di un riallineamento simile a quello di Bretton Woods. Il sentiero da percorrere per riequilibrare l’economia americana è stretto tra i rischi di ripartenza dell’inflazione e quelli di rallentamento e volatilità dei mercati. Quattro anni di tensioni tra l’inquilino della Casa Bianca e il Presidente della Federal Reserve sembrano oggi una certezza.
La seconda certezza è contenuta in un’esclusiva che ha dato ieri il Wall Street Journal. Secondo il quotidiano, il neo Presidente sta preparando ordini esecutivi per dare un’accelerazione alla produzione di idrocarburi e per cancellare alcune regolamentazioni che limitavano le emissioni degli autoveicoli. L’obiettivo è quello di rendere l’America “dominante” in termini energetici. Vale la pena ricordare che sotto la presidenza Biden l’America ha già aumentato la produzione di petrolio del 40% e che gli Stati Uniti sono già i principali produttori di gas del globo. L’Europa è rimasta sola in un certo modo di intendere la transizione energetica senza, per esempio, riguardo per i costi. Il corollario è che qualsiasi ipotesi di dazio “green” in entrata per proteggere l’industria europea verrà considerato come un capitolo della guerra commerciale.
La terza certezza è una politica commerciale aggressiva con cui gli Stati Uniti tenteranno di riequilibrare la bilancia commerciale e proseguire nel rilancio industriale. Avere costi energetici ai minimi è una parte della soluzione, ma la strategia passa anche dall’introduzione di dazi. È possibile che si apra una fase negoziale in cui Trump proverà ad arrivare a un accordo. Nessuno esclude che la fase negoziale possa essere particolarmente movimentata.
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