Un nuovissimo studio inglese è riuscito ad individuare – analizzando un pool estremamente ampio di individui – più di 300 nuovi fattori di rischio genetici che potrebbero funzionare da precursori per la depressione: un risultato certamente importante perché per la prima volta ha osservato delle mutazioni di geni parecchio diffuse e che potrebbero aprire le porte a nuove terapie personalizzate dedicate ad individui di etnia non caucasica (sui quali si era interamente concentrata l’attenzione degli studi sulla depressione fino ad oggi) che rappresentano – di fatto – la maggioranza della popolazione mondiale.
Partendo dal principio, per comprendere meglio lo studio è importante sottolineare innanzitutto che con ‘fattori di rischio genetici’ si intendono delle vere e proprie mutazioni del DNA individuabili in tutti i soggetti affetti da depressione che di per sé non sono associabili 1:1 all’insorgenza del disturbo: il principale fattore di rischio – infatti – è da tempo associato ad un forte stress provato dal paziente (legato magari ad un lutto, ad una situazione complicata, ad abusi di vario tipo subiti nel corso della vita e così via) che – in concomitanza con quei geni alterati – varia la produzione di alcuni neuromediatori chiave per il funzionamento del cervello tra i quali appaiono frequentemente la serotonina, la noradrenalina, la dopamina e (più raramente) la tirosina.
Lo studio sulla depressione: perché i 300 nuovi fattori di rischio genetici sono potenzialmente importanti?
Tornando a noi, lo studio sulla depressione protagonista di questo articolo è stato condotto ad un team di ricercatori del londinese King’s College che sono partiti da un’attenta analisi che i coinvolto i dati clinici di più di 5 milioni di persone includendo circa un 75% di individui caucasici europei (di ogni caratura sociale) e un 25% d individui ispanici, asiatici ed africani: proprio in quest’ultimo pool sono stati individuati 100 nuovi fattori di rischio genetici, mentre nel restante ne sono stati osservati altri 600 circa dei quali la maggior parte (ovvero quattrocento) erano già noti e gli altri altrettanto nuovi.
Fermo restando – lo dicevamo già prima – che la sola esistenza di uno di quegli indicatori genetici in un cervello non può essere considerato un indicatore chiaro dell’insorgenza della depressione, i ricercatori ipotizzano che un soggetto che ne presenta più di uno a fronte di un forte stress quasi certamente svilupperà il disturbo depressivo; mentre l’aspetto più interessante è che grazie a quel nuovo pool di 300 variazioni si potranno ora sviluppare nuovi farmaci in grado di avere un effetto specifico su quei geni dando una risposta concreta a chi non trova sollievo dalle attuali formulazioni antidepressive in commercio.