Imperversano le pubblicità della serie Sky dedicata a M – il figlio del secolo, tratto dai romanzi di A. Scurati. Mussolini, chi era costui?
“E voi, un secolo dopo, ancora parlate di me!”. Colpisce il vistoso lancio pubblicitario di “M – Il figlio del Secolo”, la serie di Sky dedicata a Mussolini che ha debuttato venerdì in prima serata. Lo slogan è pungente, così come gli aggettivi che seguono (che vanno da “maledetto” a “magnetico” e “meraviglioso”) confermano la realtà: a cent’anni dall’inizio della dittatura – pochissimi italiani sanno che è iniziata il 3 gennaio 1925, e non dopo la Marcia su Roma dell’ottobre ’22 – Mussolini fa ancora notizia, anzi, è “la notizia”.
Dopo vent’anni di regime ne sono seguiti ottanta di antifascismo, eppure ancora oggi per molti italiani il giudizio su di lui non è così negativo e “Lui”, Mussolini, resta un “mito” nonostante una guerra civile e generazioni di insulti.
Pochi conoscono a fondo la sua storia personale e politica, il carisma del suo personaggio (vedremo se la serie tv ne darà un aspetto credibile o solo caricaturale) o hanno studiato il perché delle sue scelte con le relative conseguenze.
Qualche settimana fa, chiamato a svolgere una conferenza di storia contemporanea a studenti diciottenni, ho chiesto chi di loro avesse sentito nominare Alcide De Gasperi, e poi Nenni o Togliatti, con lo stesso risultato: silenzio tombale in aula. Al nome di Moro si è alzata qualche mano – uno pensava che fosse però “Un prete ammazzato dai fascisti” – ma al nome “Mussolini?” tutti si sono agitati, tutti ne avevano sentito parlare, tutti avevano un’opinione.
A distanza di un secolo, quindi, il figlio del fabbro di Predappio fa ancora notizia, interessa, ed è probabile che la nuova serie tv riaprirà un dibattito che, nonostante gli anni, è purtroppo ancora soffocato dai pregiudizi. D’altronde se perfino l’attore che l’interpreta, Luca Martinelli, ha tenuto a precisare alla vigilia “ho dovuto sospendere il mio giudizio sul personaggio Mussolini, ma da antifascista convinto è stata una delle cose più dolorose che abbia fatto in vita mia”, mi sembra che si parta con un bel po’ di preconcetto.
Personalmente ho “scoperto” Mussolini tanti anni fa leggendo i libri di Renzo De Felice, con la sua ricostruzione storica precisa, ma è sempre difficile fare un discorso serio sulla figura più divisiva della storia d’Italia, letta ancora oggi in chiave apologetica o spregiativa, ma che comunque continua ad essere presente nella memoria e nella quotidianità degli italiani.
Andrebbe dunque sospeso il giudizio sulla serie tv rinviandolo alla fine delle puntate, anche se dai “promo” mi sembra vi sia un’esasperazione caricaturale del personaggio. E qui il discorso ci porta giocoforza alla scuola italiana.
Corrono i decenni ma la nostra scuola resta indietro: i docenti, afflitti da una perdurante sindrome della “coperta corta”, si fermano spesso alla prima guerra mondiale, svolgono la seconda in fretta, danno solo qualche abbozzo di quel che segue. E gli studenti restano estranei al dibattito politico, o meglio, ai suoi presupposti storici, assorbendo molto più le polemiche, gli insulti, le espressioni esteriori che non le motivazioni storiche e sociali che hanno portato (e mantenuto), nel nostro caso, Mussolini al potere. Visto che il tema è ancora di attualità sarebbe invece importante approfondire i fatti con maggiore correttezza storica, anche perché Mussolini va inserito nel suo tempo (che non è “riproducibile”) e nello scacchiere internazionale dell’epoca, dove però i vincitori di ottant’anni fa si riservano ancora il diritto di interpretare lo scorrere della storia ufficiale, magari tacendo le proprie responsabilità.
Così, secondo una ricerca statistica di Klaus Davi, solo il 23% degli italiani ha qualche idea chiara sul personaggio di cui parlano tanto, molti credono che Matteotti sia stato ucciso “perché era un ebreo” mentre Mussolini resta comunque “una brava persona”.
Alla fine vedrete che sarà l’immagine dell’attore della “fiction” ad imporsi, un po’ come il Commissario Maigret, che – per quelli della mia generazione – non è il personaggio descritto da Simenon, ma ha il volto di Gino Cervi. È la personalizzazione dell’immagine che conta, anche se la storia non è una fiction e i fatti – belli o brutti che siano – restano tali.
Marianna Ciarlante giudicava la fiction l’anno scorso “La più bella cosa vista al Festival di Venezia” perché “ci trasporta in un’Italia arresa alla dittatura raccontando la personalità egocentrica, le azioni scellerate, la mascolinità tossica di un uomo che ha scritto una delle pagine peggiori della storia italiana”. Una stroncatura storica senza appello, quindi, ma ben difficilmente su questo personaggio si depositerà comunque la polvere del tempo, anche perché gli italiani – giusto o sbagliato che fosse – “erano” o “sono stati” Mussolini. Mi sono sempre chiesto quanti di quelli che a Roma applaudivano in piazza l’arrivo delle truppe americane nel giugno ’44 fossero gli stessi che nemmeno quattro anni prima erano in Piazza Venezia a festeggiare e applaudire l’inizio della guerra. “Il popolo d’Eroi” si era già trasformato nel solito italiano che molto spesso cerca di fare il furbo per riuscire sempre a galleggiare.
Era comunque notevole, passando due giorni fa a Milano dalla Stazione Centrale, vedere contemporaneamente la sfolgorante propaganda mussoliniana di Sky, il binario da cui era partito il vagone-letto che avrebbe condotto a Roma il futuro Duce del fascismo ed ascoltare in sottofondo la litania dei treni in ritardo. Perché, un secolo dopo, i treni italiani continuano purtroppo a non partire in orario.
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