La presentazione di Ingenium, la seconda edizione dello studio sui beni strumentali italiani nel panorama internazionale, realizzato dal Centro Studi Confindustria in collaborazione con Federmacchine, ci permette di fare alcune considerazioni.
Partiamo da una nota positiva: l’Italia è tra i primi Paesi, per quota di mercato, nelle esportazioni di macchinari industriali che fanno dell’automazione, della creatività e della tecnologia i principali fattori di competitività.
Tutto ciò in un periodo estremamente difficile. Diversi fattori geopolitici generano incertezza e rallentano l’economia mondiale: non è chiaro come Trump si comporterà dopo l’insediamento; l’economia della Germania, principale cliente europeo dei nostri beni strumentali, è ancora in recessione; sono ancora in corso diversi conflitti, primo fra tutti quello in Ucraina.
Nonostante questa situazione, Ingenium permette di individuare elementi di ottimismo. L’export di beni strumentali si attesta, nei Paesi avanzati, a quasi 22 miliardi di euro e, nei Paesi emergenti, a più di 10 miliardi di euro.
Fra i Paesi avanzati dobbiamo sottolineare che gli Usa rappresentano la prima area di destinazione dell’export del comparto che, però, potrebbe essere messa a rischio dall’introduzione di dazi, come minacciato da Trump. È evidente che l’annuncio del nuovo Presidente vuole spingere le aziende a produrre direttamente negli Usa, soluzione non praticabile per la gran parte delle nostre Pmi.
Le difficoltà delle nostre imprese nelle esportazioni avrebbero poi conseguenze sul sistema manifatturiero nazionale che, per rimanere competitivo a livello internazionale, ha bisogno di beni strumentali eccellenti.
Trattandosi spesso di aziende familiari è evidente la difficoltà dei costruttori di beni strumentali nel seguire la continua evoluzione della transizione digitale, senza interventi sussidiari pubblici. Le imprese devono altresì confrontarsi con l’ingresso, a tutti i livelli, dell’intelligenza artificiale che, pur semplificando le attività aziendali, richiede organizzazione e personale capace di sfruttarne i vantaggi.
Infatti, il continuo “passo in avanti” delle tecnologie obbliga le persone già in azienda o ancora nella scuola a una formazione permanente e capace di adattarsi ai continui e complessi cambiamenti nei processi aziendali.
Il momento impone riflessioni anche sulle competenze fino a poco tempo fa concentrate prevalentemente in ambito tecnico.Bisognerà formare persone che abbiano competenze non solo tecniche, ma sappiano anche addentrarsi nella conoscenza e nell’utilizzo dei dati, nonché nell’impiego dell’intelligenza artificiale.
Sarà poi importante la capacità di comunicazione per instaurare relazioni più intense con il mondo esterno all’impresa. Per realizzare tale capacità sarà necessaria una preparazione con contenuto culturale il più ampio possibile.
Siamo allora alla necessità di un “colpo d’ala” da parte delle autorità politiche che, oltre a destinare risorse agli investimenti produttivi, dovrebbero:
a) incentivare le aziende a reinvestire i propri utili per acquisire nuovi beni strumentali;
b) incrementare gli incentivi destinati alla R&S e alla formazione continua;
c) prendere atto che molte Pmi, oggi “campioni” a livello internazionale, hanno alla guida persone di grande spessore, ma spesso senza eredi.
Se non si vuole che il grande sforzo di tanti imprenditori vada a finire in mani straniere o, peggio ancora, si disperda, bisogna immaginare la nascita di una entità pubblico/privata con esperienza industriale, che affianchi l’imprenditore per assicurare continuità e sviluppo ai citati “campioni”. Altrimenti rischiamo di perdere molte Pmi oggi ottimamente “piazzate” nella concorrenza mondiale anche perché, come viene sottolineato nel rapporto Ingenium, l’operare nella complessità dei rapporti geopolitici, conflitti, tensioni e sfide globali, potrebbe divenire difficilmente sostenibile dalle Pmi che fino a oggi, con impegno, sacrifici e preparazione hanno fatto del nostro Paese uno dei competitori più accreditati nel ranking mondiale.
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