Non si è ancora spento lo scontro politico tra maggioranza ed opposizione riguardo al caso dell’arresto e della scarcerazione – con tanto di rimpatrio su di un volo di stato – del libico Najeem Osema Almasri sul quale pende un mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Interazionale dell’Aja: oggi il tema è stato affrontato anche nel corso di un question time al Senato dove è stato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi a spiegare – brevemente – cosa sia successo ad Almasri; mentre sempre nel corso della mattinata anche il vicepremier Antonio Tajani ne aveva parlato in vesti non ufficiali intercettato a Roma da alcuni giornalisti.
Partendo proprio dalla versione fornita da Piantedosi, a fronte delle interrogazioni da parte dei senatori Giuseppe De Cristofaro e Sandra Zampa il ministro ha spiegato che dopo essere stato “temporaneamente associato alla casa circondariale ‘Lorusso e Cotugno’” Almasri era stato “messo a disposizione [della] Corte d’Appello di Roma” che in data 21 gennaio a seguito del “vaglio dei provvedimenti di limitazione della libertà personale, ha dichiarato il non luogo a procedere sull’arresto”: in seguito alla decisione della corte – dunque – lo stesso ministro ha provveduto a firmare “il provvedimento di espulsione” del libico in virtù “della pericolosità del soggetto” immediatamente “rimpatriato a Tripoli”.
Non solo, perché Piantedosi ha anche precisato davanti al Senato che settimana prossima è stata disposta “un’informativa di maggiore dettaglio sul caso” Almasri nel corso della quale si potranno “approfondire (..) tutti i passaggi della vicenda”; mentre dal conto suo in mattinata Tajani aveva negato con i giornalisti eventuali trame politiche con la Libia – ipotizzate più volte dalle opposizioni -, precisando che in ogni caso “l’Aja non è il verbo [né] la bocca della verità“, lanciando la palla al collega Piantedosi per riferire in Aula “tutto ciò che è stato fatto correttamente dal governo italiano”.
Tutto il caso Najeem Osema Almasri dall’inizio: le tappe della vicenda dall’arresto al rilascio
Insomma, secondo Piantedosi e Tajani dietro al rilascio lampo di Almasri non ci sarebbe nessuna trama politica nascosta ma semplicemente la necessità di seguire le procedure disposte dalla legge e maggiori risposte verranno date solamente in occasione dell’informativa che – ipoteticamente – si terrà la prossima settimana: spiegazioni che non sono piaciute particolarmente alle opposizioni, ancora ferme sul piede di guerra assieme alla stessa Corte Penale Interazionale che resta in attesa di spiegazioni dettagliate sull’accaduto.
Tornando indietro con la mente, la vicenda di Almasri è iniziata il 18 gennaio quando la CPI ha spiccato una mandato d’arresto internazionale accusandolo di crimini contro l’umanità per via di presunte torture, omicidi ed abusi perpetrati nel carcere di Mitiga che lui stesso dirige: in quel momento il libico si trovava a Torino ed è stato arrestato la mattina seguente aprendo alla partita della convalida dell’arresto.
Fin da subito il tribunale Torinese ha interpellato Roma e il ministro Nordio – competente dei rapporti con la CPI – per ottenere la convalida dell’arresto di Almasri, ma solamente la mattina del 21 gennaio il ministro ha diramato un comunicato spiegando che il dicastero stava “valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma”: valutazione che non è arrivata – evidentemente – in tempo, dato che dopo sole 96 ore dall’arresto Almasri è stato rilasciato ed accompagnato con un volo di stato in Libia dove è stato accolto da scroscianti applausi (ed insulti all’Italia) da parte dei suoi connazionali.